L’art. 1 comma 1 della Legge Fallimentare recitava: “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”.
La questione dell’assoggettabilità al fallimento delle società a partecipazione pubblica è complessa.
Secondo la giurisprudenza di merito si deve valutare in concreto l’esistenza o meno degli indici sintomatici della natura pubblicistica dell’ente, fra cui la sua tipologia, la strumentalità rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche, l’esistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella tipica dello schema societario, l’utilizzo di risorse pubbliche nell’esercizio dell’impresa.
Sul tema si è manifestata anche la Cassazione Civile con la sentenza n. 22209 del 27/09/2013 per cui “Una società per azioni a partecipazione pubblica non perde la sua qualità di soggetto privato – e quindi, ove ne sussistano i presupposti di imprenditore commerciale fallibile. La scelta di consentire all’ente pubblico di svolgere determinate attività tramite società di capitali – e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico – comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall’ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con le stessa forme e con le stesse modalità”.
La questione in parola è stata affrontata recentemente dalla stessa Corte di Cassazione che, con sentenza n. 5346 del 22/02/2019 ha così statuito: “La società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 l.fall., essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici, ne’ detta natura privatistica della società è incisa dall’eventualità del cd. controllo analogo, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra P.A. ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante.”
In sostanza quindi la questione – della assoggettabilità o meno dell’ente pubblico economico al fallimento – si risolveva effettuando una valutazione sostanziale della natura dell’ente ed escludendo detta assoggettabilità solo laddove l’attività dell’ente sia strettamente finalizzata al perseguimento di interessi pubblici.
Da ultimo è però intervenuto il legislatore con l’art. 14 del testo unico delle società a partecipazione pubblica (D. Lgs n. 175 del 2016) prevendendo “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39”.
Con il che al momento la questione dovrebbe potersi dire archiviata.